Area Neuropsicomotoria
DISABILITÀ INTELLETTIVE
Si intende deficit nelle abilità cognitive e scolastiche, come il ragionamento, il problem solving, la pianificazione, l’acquisizione del pensiero astratto, la capacità di giudizio e difficoltà nel riuscire ad apprendere dall’esperienza. Compromette il funzionamento adattivo della persona.
Si riconosce quando il bambino, durante lo sviluppo, non riesce ad acquisire il livello di competenza atteso nel dominio cognitivo, nell’apprendimento scolastico, in quello relazionale e nell’adattamento al proprio ambiente.
Per eventuale diagnosi si tiene conto sia della valutazione del QI, passaggio determinante nella definizione del disturbo, e sia del funzionamento adattivo. Quest’ultimo fa riferimento all’efficacia con cui i soggetti fanno fronte alle esigenze più comuni della vita quotidiana e al grado di adeguamento agli standard di autonomia personale previsti per la loro particolare fascia di età, contesto socioculturale e ambientale.
La programmazione dell’intervento è individualizzata e tiene conto delle caratteristiche individuali, del contesto familiare e ambientale e dello specifico momento di vita del bambino. È principalmente mirato a potenziare le risorse del bambino per l’acquisizione di specifiche competenze, soprattutto quelle linguistiche e cognitive.
Gli interventi utili sono di tipo psicoeducativo e cognitivo comportamentale con l’obiettivo di migliorare l’adattamento, le capacità sociali, la riduzione dei comportamenti inadeguati o distruttivi, lo sviluppo delle capacità di controllo e l’autonomia del bambino o dell’adolescente.
Gli interventi psico-terapeutici possono essere attuati quando emergono problemi nello sviluppo affettivo o della personalità.
DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
Si intende la compromissione delle funzioni sociali e comunicative associate a interessi ristretti e comportamenti stereotipati.
Sintomi del disturbo: la presenza di deficit nella comunicazione e interazione sociale (ad esempio assenza di reciprocità emotiva, deterioramento nell’uso di comportamenti non verbali, difficoltà nello sviluppare o mantenere amicizie, assenza di condivisione di esperienze, ecc) e la presenza di attività stereotipate (ad esempio uso degli stessi oggetti, ecolalia, frasi idiosincratiche, ecc), aderenza inflessibile a routine non funzionali, interessi ristretti e fissi.
I sintomi, in genere, vengono riconosciuti nel secondo anno di vita (12-24 mesi di età), ma possono essere osservati segnali di autismo prima dei 12 mesi se il ritardo dello sviluppo è grave o dopo i 24 mesi se i sintomi di autismo sono attenuati. Le caratteristiche comportamentali iniziano a diventare evidenti nella prima infanzia, con alcuni casi di individui che presentano uno scarso interesse per le interazioni sociali già nel primo anno di vita.
La diagnosi di autismo coinvolge inevitabilmente molti e diversi specialisti: psicologo, neuropsichiatra infantile, logopedista, ciascuno dei quali, separatamente, valuta il livello evolutivo, competenze, capacità e bisogni del bambino nella propria area di specializzazione. Si considerano tre aree funzionali: le relazioni interpersonali e lo sviluppo sociale, il linguaggio, lo sviluppo cognitivo e il comportamento.
Gli interventi sono finalizzati a correggere i comportamenti non adeguati con l’obiettivo di facilitare l’emergenza delle competenze sociali, comunicativo – linguistiche, cognitive, che possano favorire il futuro adattamento del soggetto all’ambiente in cui vive e a favorire lo sviluppo di un soddisfacente adattamento emozionale, regolare il controllo degli impulsi e la modulazione degli stati emotivi.
Tra i vari trattamenti rivolti ai bambini affetti da autismo, ve ne sono alcuni diretti principalmente a favorire lo sviluppo del rapporto interpersonale tra il bambino autistico e le persone presenti nel suo ambiente di vita. Questi approcci prevedono il coinvolgimento della famiglia (parent training) con l’obiettivo di aiutare le famiglie a interagire con i loro figli, promuovere lo sviluppo e l’incremento della soddisfazione dei genitori e del loro benessere emotivo e sono centrati su strategie che sviluppano l’intersoggettività e l’abilità di relazione sociale.
Può emergere la necessità di ricorrere a una terapia farmacologica, che ha l’obiettivo di affrontare e ridurre a livello sintomatologico i diversi problemi che possono accompagnare questa condizione.
DISTURBO DI SVILUPPO DELLA COORDINAZIONE MOTORIA
La caratteristica fondamentale del Disturbo di Sviluppo della Coordinazione è una marcata compromissione dello sviluppo della coordinazione motoria, la diagnosi viene fatta solo se questa compromissione interferisce in modo significativo con l’apprendimento scolastico o con le attività della vita quotidiana e se le difficoltà nella coordinazione non sono dovute ad una condizione medica generale (per es., paralisi cerebrale, emiplegia, o distrofia muscolare).
Le manifestazioni di questo disturbo variano con l’età e con lo sviluppo. Per esempio, i bambini più piccoli possono presentare goffaggine e ritardo nel raggiungimento delle tappe fondamentali dello sviluppo motorio (per es., camminare, gattonare, stare seduti, allacciarsi le scarpe, abbottonarsi la camicia, e chiudersi la cerniera lampo dei pantaloni). I bambini più grandi possono mostrare difficoltà nelle componenti motorie dell’assemblaggio di puzzle, nel modellismo, nel giocare a palla, nello scrivere in stampatello o nella calligrafia.
Il riconoscimento del Disturbo di Sviluppo della Coordinazione avviene di solito quando il bambino fa i primi tentativi in attività come correre, usare coltello e forchetta, abbottonarsi i vestiti, o giocare a palla. Il decorso è variabile. In alcuni casi, la mancanza di coordinazione permane nell’adolescenza e nell’età adulta.
L’intervento può essere caratterizzato da un trattamento ri-abilitativo multidisciplinare per favorire lo sviluppo armonico ed un sostegno allo sviluppo emotivo (autostima, piacere nel gioco e socializzazione). Fondamentale è la collaborazione con tutti gli enti educativi che ruotano attorno al bambino: famiglia, scuola, enti sportivi ed altre istituzioni/associazioni.
DISTURBI VISUO-SPAZIALI
Il bambino con difficoltà visuo-spaziali si ritrova ad affrontare fin da subito con fatica anche le più semplici azioni di vita quotidiana. Solitamente si riscontrano difficoltà nell’area prassica (ovvero nell’esecuzione di tutti quei movimenti complessi finalizzati ad uno scopo ben preciso) e nella coordinazione visuo-spaziale. Tutto questo si ripercuote non solo sulle autonomie, ma anche sull’area affettiva e relazionale. La memoria di lavoro visuo-spaziale ha il compito fondamentale di immagazzinare contemporaneamente le informazioni visive quali forme, colori e orientamento degli oggetti, e di mantenere il ricordo dei movimenti e delle loro sequenze. Questa competenza è fondamentale per molte azioni che compiamo quotidianamente, a partire da come ci muoviamo nello spazio, da come riusciamo a orientarci seguendo le indicazioni di una mappa, a come riusciamo a comunicare con gli altri anche senza utilizzare il linguaggio e quindi sfruttando quella che viene definita comunicazione non verbale. La difficoltà nella memoria di lavoro visuo-spaziale può diventare problematica con l’ingresso a scuola, in quanto tutti gli apprendimenti sono strettamente connessi al suo utilizzo. Ciò che si riscontra è una marcata difficoltà in tutte le aree dell’apprendimento: nell’ambito matematico per quanto concerne il problem solving e i problemi aritmetici, in quanto il bambino deve essere in grado di ricordare più figure geometriche e “manipolarle mentalmente”. Per quanto riguarda gli aspetti grafo-motori, un disturbo di questo tipo implica difficoltà sia nel recupero dalla memoria degli elementi da riprodurre, sia il mantenimento delle relazioni spaziali tra gli elementi, e questo comporta difficoltà nel riprodurre un disegno in modo spontaneo o ricopiarlo rispettando le relazioni spaziali.
L’obiettivo del trattamento è quello di individuare, attraverso somministrazioni di test specifici, le aree deficitarie nel bambino, per giungere, insieme a una equipe di professionisti, a una pianificazione terapeutico-riabilitativa volta al potenziamento della memoria di lavoro visuo-spaziale fino a integrarlo con il potenziamento degli apprendimenti scolastici. Fornendo al contempo al bambino e all’adolescente gli strumenti necessari per affrontare le situazioni problematiche e supportarlo mediante sussidi che possano agevolarlo nei compiti. Tutto ciò gli permetterà di acquisire maggiore fiducia in se stesso rendendolo autonomo e capace di affrontare le diverse situazioni in ambito domestico, scolastico e relazionale, riducendo quindi al minimo le difficoltà in età adulta.
RITARDO DI SVILUPPO PSICOMOTORIO
Il ritardo di sviluppo psicomotorio può essere definito genericamente come mancata acquisizione di adeguate competenze posturali, cognitive, affettive, linguistiche in rapporto all’età cronologica. Spesso, questo tipo di disturbo, rappresenta la manifestazione iniziale o il sintomo precoce, di sindromi complesse che, nel corso del primo anno di vita, possono presentarsi come aspecifici ritardi dello sviluppo psicomotorio.
Il ritardo rilevato può essere armonico, interessando cioè tutte le aree evolutive, con prevalente compromissione degli aspetti posturali e locomotori.
In assenza di elementi clinici riferibili a quadri clinici definiti, quando il ritardo riguarda, in prevalenza un’area per esempio quella motoria, si parla di “Ritardo Motorio Semplice”, nel caso in cui il ritardo riguarda l’area del linguaggio (2-4anni) si parla di ritardo semplice del linguaggio etc; si tratta sempre di diagnosi di esclusione che possono sottendere quadri diagnostici evolutivi più definiti.
L’intervento precoce e multidisciplinare è fondamentale per riuscire a dare ai genitori con bambini affetti da questo ritardo strumenti per favorire lo sviluppo il più in linea possibile con l’età cronologica. Con i bambini si agisce con modalità ludiche tarate sul loro livello di sviluppo in modo da potenziare le competenze motorie, cognitive, relazionali ecc.